mercoledì 9 settembre 2009

ARTE, COSCIENZA E ISPIRAZIONE (PARTE SECONDA).
Tratto da una conferenza del Prof. Marco Ferrini,
tenutasi a Ponsacco il 14 Marzo 2009.

A cura di Fabrizio Fittipaldi.

Lo spazio e il tempo non esistono su di un piano ontologico, ma solo su un piano relativo e puramente convenzionale. L’arte, quando autentica, esprime uno sforzo costante a trascendere questi due pilastri della mente umana che, d’altra parte costringono la coscienza a mantenersi al di qua dei livelli supremi che le competono e a cui naturalmente tende. L’ispirazione consente dei viaggi che trascendono ogni riferimento fisico e spazio-temporale; dei viaggi che non si compiono con il corpo e che non possono essere testimoniati da altri se non dal protagonista. Dante, San Paolo, Maometto, Ibn Arabi sono viaggiatori di dimensioni altre che grazie ai loro resoconti ci consentono di gustare qualche goccia dell’oceano di verità che hanno solcato coi navigli della loro consapevolezza.
Il Rapimento in Cielo di San Paolo, Domenichino, 1607-1608, Parigi, Museo del Louvre.

L’arte racchiusa nella Divina Commedia, a settecento anni di distanza dalla sua composizione, produce brividi che, ancora oggi, scuotono i lettori d’ogni parte del mondo fin nell’intimo della loro natura. La scultura greca di duemila cinquecento anni fa, le opere di Fidia, di Skopas, di Prassitele, di Lisippo sono portatrici di una proporzione assoluta ed esprimono modelli così perfetti che, percepiti nella loro pienezza, fanno trasalire nella esperienza divina della bellezza. Se ci accostiamo agli antichi testi della tradizione vedica che trattano il tema dell’arte e delle proporzioni, ci imbattiamo nei deva e nelle descrizioni che li riguardano. I deva sono degli esseri celesti che vivono in un corpo di luce impercettibile ai sensi e che abitano dimensioni superiori; per appercepirli occorre aver sviluppato un livello elevato di coscienza che travalica i limiti della comune consapevolezza. A chi raggiunge ed esplora questi stati di super-coscienza si concede la visione e l’esperienza della perfetta proporzione e armonia tra la parti e tra le parti e il tutto: così “l’uomo” di Leonardo, che era stato anche “l’uomo” di Vitruvio, entra in un quadrato e descrive una circonferenza.
Coppia Regale, da Gizah (Egitto), Boston, Museo.

L'Uomo di Vitruvio, Leonardo, 1490, Venezia, Accademia.

Tutte queste grandi anime di artisti e di viaggiatori metafisici sono collegati, condividono la stessa dimensione a-spaziale/a-temporale e vivono in relazione tra di loro. Questa è la dimensione dei principi eterni, delle verità eterne e delle realtà eterne, che rappresentano l’universalità che noi tutti ricerchiamo e attraverso la quale ogni dualità si dissolve e tutto diventa amichevole, benevolo, evolutivo: non siamo più vittime delle disgrazie che costellano quest’esistenza materiale, ma ne diventiamo distaccati testimoni. Il principio fondamentale è l’intuizione che, perseguita e coltivata, costituisce la chiave d’accesso all’ispirazione e alla percezione di valori e di realtà che le strutture della materia non hanno ancora rivelato. Questi principi archetipici della creatività e della conoscenza non sono esclusivi del mondo dell’arte, ma sono condivisi dalla più alta ricerca scientifica o filosofica; per non parlare di quella spirituale. Il famoso teorema di Pitagora esprime una implicita e segreta relazione tra i lati di un triangolo rettangolo: l’equivalenza tra il quadrato costruito sull’ipotenusa e la somma dei quadrati costruiti sui cateti. All’origine di questa scoperta non c’è una misurazione, ma una pura intuizione, solo successivamente comprovata. Allo stesso modo Newton ha scoperto la legge gravitazionale: tutta la sua intelligenza era predisposta alla soluzione di determinate problematiche, cosicché la semplice esperienza di una mela che cade dall’albero si è trasformata, per lui, nella scintilla che ha fatto divampare il fuoco della comprensione, della percezione interiore di dinamiche e realtà fino a quel momento sconosciute. Per poter essere rivelata, una realtà deve essere prima intuita. Nella danza, nella musica, in tutte le manifestazioni d’arte sono i sensi interni che verificano la autenticità di una forma (tanto un passo di danza come un’armonia, tanto una figura plastica come una retorica, ecc.). È in funzione di questi sensi interni che l’artista sviluppa un determinato rapporto con la materia, sforzandosi di adattarla alla sua visione e intuizione interiori. Attraverso la pratica, madre di ogni perfezione, si può giungere ad assottigliare il divario che esiste tra l’immagine intuita e quella che l’artista è in grado di esprimere, ma non ad annullarlo. La materia, infatti, mostra sempre una specifica resistenza alla volontà dell’artista, fino a opporvisi ostinatamente. Nel mezzo di questo “litigio” può accadere che da un bel blocco di bianco di Carrara o da un bel pezzo di noce partano dei pezzi in più, compromettendo così il progetto originario e provocando, per questo, una disaffezione dell’artefice nei confronti dell’opera. Un sentimento simile, persino violento e aggressivo, può nascere nell’artista la cui opera sia stata scoperta in una forma ancora incompiuta o da lui stesso non approvata. La tradizione ci rimanda, come monito, la storia della figura divina di Shri Jagannath: avendo incaricato il famoso scultore Vishvakarma di eseguire una scultura che raffigurasse l’immagine divina di Shri Krishna, il re committente, nonostante le raccomandazioni volle vedere il lavoro prima che fosse terminato, facendo sì che tutto, come d’incanto, si bloccasse al punto in cui era quando egli entrò nel laboratorio.
Murthi di Jagannath Baladeva Subhadra, Puri, Orissa, India.

Queste reazioni apparentemente eccessive hanno molto a che vedere col processo artistico e con uno stato, che gli è proprio, di profonda e intensa concentrazione. Facendo confluire stabilmente i raggi del flusso di coscienza sul punto dell’intuizione l’artista lo penetra ed entra in quel mondo dove risiede la forma che ha scelto di riprodurre. Ogni motivo di distrazione potrebbe rivelarsi fatale e compromettere in un attimo i successi ottenuti con un lavoro intenso e prolungato; in una misura inversamente proporzionale al grado di conoscenza, maturato dall’artista-meditante, della dimensione ultrasensibile raggiunta. La pratica continua e la ripetuta esperienza permettono di approfondire in maniera così piena la relazione con questi livelli percettivi superiori da consentire una amplia integrazione tra questa e le frenetiche dinamiche del mondo quotidiano. Ma per il vero artista la ricerca non conosce sosta né fine e questi conseguimenti non sono che stazioni di passaggio nella sua eterna scalata. Ecco perché spesso gli artisti appaiono strani ed estremamente stravaganti: non solo per puro egocentrismo (il che costituisce un preciso difetto), ma anche perché cercano costantemente quel mondo che hanno voluto e che sono stati in grado di penetrare. Questa capacità è spesso un’eredità di vite precedenti, piuttosto che il frutto di enormi sforzi compiuti in una sola vita; il che ci permette di spiegare casi apparentemente miracolosi come l’inconcepibile precocità di Mozart o lo stupefacente talento pittorico di un giovane e incolto pastorello, qual’era Giotto prima dell’incontro con Cimabue, suo futuro maestro. Gli stessi principi gnoseologici strutturano l’indagine scientifica, filosofica o religiosa: qualunque sia il campo esperienziale, per oltrepassare le barriere mentali del conosciuto, il vero ricercatore deve raggiungere uno stato coscienziale che trascenda i ristretti limiti conoscitivi che caratterizzano i cinque organi di senso. Livelli di percezione elevata sono diretta conseguenza di una purificazione della coscienza, così come l’autentica ispirazione corrisponde a uno sviluppo etico e morale ed è sempre finalizzata all’elevazione coscienziale delle persone. Infatti non sempre la percezione di una realtà differente da quella oggettiva corrisponde all’esperienza di una dimensione superiore e, se è vero che le droghe inducono una alterazione dei sistemi appercettivi sensoriali, fanno precipitare la coscienza a livelli inferiori di realtà. È facile scuotere le persone con discorsi tanto appassionati quanto insensati, con provocazioni pseudo-artistiche o con sostanze tossiche, ma non è altrettanto semplice creare i presupposti affinché una persona, dopo l’autentica esperienza spirituale, non voglia più tornare ai livelli ordinari di percezione. Nella letteratura sacra e in particolar modo nel Bhagavata Purana sono narrati diversi episodi che esemplificano questa incontrastabile attrazione che l’esperienza mistica produce su coloro che ne sono stati rapiti: a Narada Muni e a Druva Maharaja è concesso di contemplare per un attimo la forma stessa di Dio e da quel momento e per il resto della loro vita non potranno più discostarsi dalla ricerca di quella visione. Lo stesso Dante descrive nella Vita Nova una visione spirituale che orienterà le sue scelte, i suoi interessi e le sue ricerche fin dalla sua giovinezza, e che lo spronerà a portare avanti la sua opera nonostante le drammatiche vicende politiche e personali che segnarono in maniera così forte la sua epoca e la sua vita. Dante non si lascia invischiare nelle corrotte dinamiche politiche della Firenze di allora, né si abbatte per il repentino e terribile cambio di posizione sociale dovuto all’esilio forzoso e alle ripetute condanne a morte. La sua coscienza è illuminata e accesa dal desiderio di realizzazione della propria natura spirituale. Per lui la poesia rappresenta il mezzo per indagare e per realizzare la bellezza e la dolcezza; il mezzo che gli permetterà di giungere alla scoperta dell’amore divino che tutto pervade e che unisce eternamente l’anima individuale col Signore supremo. Per tutta la vita Dante è volto alla ricerca dell’anima e della suprema relazione d’amore, ma è costretto a velare questi suoi sentimenti profondi per evitare le ritorsioni della potente Chiesa del tempo che, per motivi politici ed economici, deteneva con la forza il monopolio sulla religiosità. In questo contesto si spiega la figura di Beatrice e delle “donne scherno” dei poeti stilnovisti che, lungi dall’essere donne in carne e ossa, celano, a occhi indiscreti, l’anima degli artisti e il loro irrefrenabile desiderio di realizzazione e comunione col divino. Volendo trasmettere in una forma di assoluta bellezza (in grado di riflettere l’altezza dell’argomento) significati che travalicano la comprensione logica, Dante deve scrivere in modo da creare una nebbia che allo stesso tempo celi e manifesti i contenuti più profondi della sua opera. Nel porci di fronte ai versi della Commedia, dobbiamo cercare di spogliarci delle nostre forme mentali per consentire alle immagini con cui l’opera parla, frutto della più alta ispirazione artistica, di scuoterci e nutrirci. Immagini che penetrando e risuonando dentro di noi ci conducono a sperimentare realtà nuove che trascendono il mondo delle apparenze. Questo è il frutto dell’ispirazione. La si può cercare nell’arte, la si può cercare nel deserto, la si può cercare prendendosi cura degli ultimi; la si può portare nei laboratori universitari, nelle mostre d’arte o nei centri di predica: l’importante è avere qualcosa da donare, l’importante è creare un elevato livello di coscienza. Da un intenso stato meditativo si genera l’estasi che si esprime d’accordo alle tendenze e alle competenze individuali; ma alla base di ogni comprensione profonda e rinnovatrice c’è sempre l’ispirazione, che informa opere capaci di trasformare la vita alle persone. In conclusione l’arte non è diretta solo all’educazione estetica e formale, l’incontro con un’autentica opera d’arte non rappresenta un’esperienza puramente estetica, relativa alla sensazione. L’artista deve costantemente confrontarsi con le responsabilità implicite del suo mestiere, senza lasciarsi irretire da un sentimentalismo superficiale e dannoso. Il compito dell’opera d’arte, infatti, è quello di far compiere allo spettatore un salto evolutivo che equivalga a un effettivo miglioramento della qualità della sua vita, in funzione di quella eterna corrispondenza, oramai rinnegata, tra il bene e il bello. Il processo comincia con un’attitudine apparentemente prosaica che consiste nell’impegnarsi a far bene qualunque cosa si sia chiamati a fare. Arricchendo così il sistema nervoso di una maggiore quantità di ordine e funzionalità, si favorisce il riorganizzarsi delle interazioni neuronali e il complessivo predisporsi dello strumento a generare nuove comprensioni e nuove visioni che finiscono per influenzare positivamente l’intera personalità.

Nessun commento:

Posta un commento