giovedì 26 marzo 2009

ILLUSIONI

Al di là di realtà psichica soggettiva e mutevole, esiste la Realtà eterna, inafferrabile per chi non ha strumenti per contemplarla. La maggioranza delle persone cerca di controllare gli altri per impossessarsi della loro energia, perché non sa di avere la Fonte inesauribile dentro di loro. Il mondo tridimensionale appare come un semplice riflesso della Realtà, un programma definito PRAKRITI creato dall’Intelligenza Cosmica. Quante delle nostre convinzioni più profonde siano frutto di una interprettazione soggettiva o un indottrinamento? Lo spettacolo “Illusioni” proposto dal laboratorio teatrale del Centro Studi Bhaktivedanta invita ad un viaggio negli spazi della coscienza per riflettere sulla natura della realtà.


mercoledì 18 marzo 2009

L'ESSENZA SUBLIME DELLA DRAMMATURGIA INDIANA.
UNA RIFLESSIONE SUL DRAMMA DI KALIDASA 'RICONOSCIMENTO DI SHAKUNTALA'.
di Tania Zakharova.


'Wouldst thou the young year's blossoms and the fruits of its decline And all by which the soul is charmed, enraptured, feasted, fed, Wouldst thou the earth and heaven itself in one sole name combine? I name thee, O Sakuntala! and all at once is said'. (Goethe)

“Ciò che affascina e incanta, ciò che appaga, fa estasiare e alimenta l’anima, ciò che armonizza la terra e il cielo” - così esprime Goethe il suo entusiasmo dopo aver letto il famoso dramma teatrale di Kalidasa, Abhijnanasakuntala (Riconoscimento di Shakuntala). Le opere di Kalidasa, che visse intorno al IV-V secolo d.C., sono riconosciute come l’espressione suprema dell’arte letteraria indiana, arte squisita, che richiede una conoscenza approfondita delle sue regole e dei suoi fondamenti teorici per essere apprezzata nei suoi molteplici sapori. Nel 1792 il famoso storico e scrittore russo N.M.Karamzin, pubblicando nella “Rivista Moscovita” alcuni episodi da “Riconoscimento di Shakuntala”, scriveva nell’introduzione: " …Quasi in ogni pagina del dramma trovavo altissime bellezze poetiche, la raffinatezza dei sentimenti, una tenerezza mite, eccezionale, inspiegabile, simile a una serata silenziosa di maggio, un'opera di una natura purissima e impareggiabile e d’arte elevatissima". Abhijnanasakuntala rielabora un noto episodio del Mahabharata dove il re Dushyanta, della dinastia lunare, incontrando l'affascinante Shakuntala, cresciuta nell’eremo del padre adottivo Kanva, si innamora della timida fanciulla e i due si uniscono con il matrimonio chiamato gandharva(1); prima di rientrare alla sua capitale il re promette a Shakuntala che ella diventerà la sua regina principale e le lascia in pegno un anello(2).
La fanciulla rimane in fiduciosa attesa ma un giorno incorre inconsapevolmente nelle ire di un vecchio asceta di passaggio che la maledice predicendo che sarà dimenticata dal suo sposo e potrà essere riconosciuta solo alla vista di un monile. Nel giorno dell’atteso incontro fra i due, Shakuntala, che nel frattempo ha perso il segno di riconoscimento, viene ripudiata e abbandonata. Dopo l’amara ripartita della sposa, Dushyanta ritrova l’anello che cancella la maledizione del momentaneo oblio. Afflitto dal rimorso postumo il nobile sovrano cercherà Shakuntala in cielo e in terra, finché non la rincontrerà insieme con il bambino speciale che le è nato da lui: Bharata, destinato all’impero universale. Nella drammaturgia indiana ogni spettacolo teatrale aveva inizio con una cerimonia religiosa di consacrazione dello spazio, detta purvaranga, consistente nell’invocazione di una Divinità. Lo spettacolo era suddiviso in anka, letteralmente “curve”, “parti” o anche “grembi” di numero variabile: la fine di ogni anka era segnalata dall’uscita di scena di tutti i personaggi. La vicenda narrata poteva coprire un arco di tempo anche molto ampio; per ragguagliare il pubblico sugli eventi intercorsi fra l’azione di un atto e quella di un atto successivo si poteva inserire una scena introduttiva o “di transizione” denominata viskambhaka. A conclusione del dramma, uno dei personaggi recitava, a nome degli attori, una stanza augurale conclusiva (bharatavakya) in cui chiedeva alla Divinità il benessere per il pubblico e per se stesso. Infatti, nella parte finale del dramma di Kalidasa il protagonista chiede la liberazione dal ciclo samsarico:

Si adoperino per il bene dei sudditi e sovrani,
la Musa dei dotti venerabili sia venerata; e anche per me
Dio…la cui potenza si diffonde ogni dove cancelli ogni rinascita.
(VII anka).


Diversi critici letterari hanno cercato di scoprire il segreto dell’eterna freschezza e irresistibile fascino del dramma di Kalidasa dietro le suggestive metafore e incantevoli stanze liriche. La traduttrice e studiosa della poesia indiana V. Mazzarino propone una interpretazione “metateatrale” dell’esperienza scenica: nel dramma Abhijnanasakuntala i confini tra i vari gradi di rappresentazione sembrano sfumare l’uno nell’altro, a lasciarsi varcare ripetutamente; l’accento è posto sull’esperienza rappresentata, quale sia il piano che la genera. Così in una delle scene lo spettatore si trova in un boschetto, coinvolto nel dialogo fra il re innamorato che indirizza gli epigrammi al personaggio-ape e l’affascinante fanciulla spaventata dall’ape… per scoprire poi che la fanciulla, boschetto e ape sono ritratti su una tavoletta dipinta. Il sovrano che regge in mano la tavoletta, immedesimandosi completamente con la sua rappresentazione mentale, scaturita dal ricordo, era “entrato” nel dipinto per rivedere la sua amata perduta a causa dell’oblio. Con lui, per quei brevi istanti, erano entrati nella dimensione mentale anche gli altri personaggi che poi tornano alla “realtà” del palcoscenico. In questo modo la moltiplicazione dei livelli d’esperienza coinvolge altre arti. Entro la “realtà” della rappresentazione scenica può emergere la “realtà” pittorica (la quale è anche la forma concreta che hanno assunto il ricordo e il desiderio). Canto, pittura, poesia; azione, ricordo, desiderio, stato contemplativo: lo spettacolo scorre liberamente da un piano all’altro, e ogni nuova rappresentazione svela una nuova realtà. La tradizione letteraria indiana ha sviluppato mirabilmente l’arte di raffigurare più dimensioni contemporaneamente, privilegiando la presentazione dell’esperienza “rimandata” o comunque in qualche modo “velata” piuttosto che quella in atto. Scrive V. Mazzarino nel suo articolo “La poetica del non-evento(3)”:

”Le emozioni suscitate da una poesia indiana sembrano fatte di allusioni, ricordi, desideri; il fatto concreto rimane come dietro un velo. Nulla di più lontano, si dirà, dal “realismo” così a lungo caro all’Occidente: eppure, la potenza di quelle allusioni e di quei desideri può superare l’efficacia di qualsiasi descrizione realistica. Poiché, se non c’è l’evento concretamente ricostruito come dinanzi ai nostri occhi, c’è la particolareggiata, concretissima descrizione del “non-evento”.

La poetica dell’esperienza “velata” trova, la sua esplicita formulazione in uno dei più grandi trattati di critica letteraria dell’India classica: lo Dhvanyaloka di Anandavardhana (IX sec.d.C.). Secondo l’autore l’essenza del sentimento (rasa) è significato dell’espressione poetica in quanto non è direttamente espresso, in altre parole, non è necessario che il personaggio esprima sentimenti amorosi perché lo spettatore di un dramma “senta” l’amore rappresentato dal poeta. Una delle più famose scene di Kalidasa ruota attorno al ricordo del re del suo incontro con Shakuntala:

Di quando in quando le dita
coprivano il suo labbro;
bello era, con i suoi impercettibili “no”,
il volto di lei dalle lunghe ciglia,
piegato sulla sua spalla;
io lo sollevai appena, ma non lo baciai.


Per un osservatore occidentale i drammi indiani appaiono come poveri d’azione: gli eventi principali dell’intreccio spesso hanno luogo fuori scena. Sulla scena i personaggi rappresentano immagini, situazioni che anticipano l’azione o la commentano. L’azione drammatica è data dal dispiegarsi e dal confrontarsi di azioni mentali: evocazioni, visualizzazioni, ricordi, riflessioni. Nel dramma di Kalidasa troviamo una interessante riflessione sull'“errore della mente” (manaso vikarah) che in quest'opera motiva il comportamento del re con Shakuntala. Cercando di scoprire l’enigma dell’oblio davanti all’evidenza dei fatti, Dushyanta riflette:

E' come se, avendolo dinanzi agli occhi,
uno dicesse: “Non è un elefante”; mentre poi quello si allontana,
sorgesse il dubbio; nel vedere infine solo le orme,
si radicasse il convincimento: tale è stato l’errore della mia mente!


L’autore rivela una profonda conoscenza della natura della mente sottolineando l’importanza della sua purificazione per percepire direttamente la Realtà:

L’immagine non prende forma su uno specchio
la cui limpidezza sia appannata da polvere:
ma quando quello è pulito, essa trova luogo facilmente.


Nella sua analisi della drammaturgia indiana V. Mazzarino osserva che “la poesia dell’India classica, dotta, cortese e raffinata, non produce fughe surreali in regni di favola, o mistici rapimenti in sfere estranee alle esperienze dei sensi”. Mentre la prima parte dell’osservazione risulta molto perspicace, non si può dire altrettanto per quanto riguarda la seconda. L’artista nella tradizione, sia che si tratti di teatro, scrittura, danza, musica, pittura o scultura, in virtù dell’aderenza alle leggi dell’ordine universale attraverso le proprie opere cercava di armonizzare tutti i piani antropologici dell’essere umano. In questa visione l’autentica opera d’arte è considerata quella che attraverso il linguaggio simbolico educa la mente a percepire concetti di alta psicologia, invitando nel mondo della trascendenza oltre che nella mera rappresentazione sensoriale. In diverse scene dell’opera di Kalidasa viene enfatizzata la rigorosa e spontanea aderenza dei personaggi alle leggi divine universali (dharma), che sostanzia il loro comportamento etico.
Abhijnanasakuntala sembra un racconto a cornice: ogni dimensione presentata nell’opera appare racchiuso dentro un altro, superiore, livello metatemporale che rimane nella mente, come traccia, dove dietro epigrammi di una incomparabile fragranza poetica che dolcemente attirano nel mondo di sentimenti, pensieri, visioni e spazi metafisici si intravedono i barlumi di una realtà ultima, splendente nella sua rivelazione archetipica. Uno dei concetti più importanti del Natyashastra, il Trattato Vedico di Teatro, Musica e Danza, è l’esperienza dei rasa. “Natya” è essenzialmente rasa, presentato tramite situazioni, mimesi, stati emotivi transitori; è un sentimento che non può essere sperimentato per via di nessun mezzo della conoscenza empirica, ma solo grazie alla sensibilità estetica. Rasa, l’oggetto estetico di natura trascendente, rappresenta l’essenza dell’arte drammatica. Secondo la filosofia dell’India classica l’arte è un modo di vivere, arte è rito, arte è esperienza estetica elevata e soprattutto è la via per accedere alla natura spirituale. Lo scopo dell'arte autentica è elevare l’essere umano al livello del Trascendente, far emergere le qualità intrinseche dell’anima e sperimentare i sentimenti che la ricollegano alla Fonte suprema, Dio. Anelando nelle sue poesie alla ricerca della Verità ultima, P.B. Shelley propone questa suggestiva metafora:

“La vita, come una cupola di vetro multicolore,
Tinge il candido fulgore dell’Eternità.”


Colui che scopre il segreto dell’arte autentica potrà vedere oltre i frammenti colorati della vita umana e gustare l’essenza sublime della drammaturgia indiana.

(1) Tipo di matrimonio valido a ogni effetto, che consiste nell’unione dei due sposi senza il previo accordo delle famiglie.
(2) La versione di Kalidasa presenta alcune importanti variazioni rispetto al racconto del Mahabharata, dove non viene menzionata la maledizione che nel dramma motiva l’oblio del re, e il motivo dell’anello come segno di riconoscimento.
(3) Il Riconoscimento di Shakuntala, introduzione; Adelphi edizioni, 1993.

mercoledì 4 marzo 2009

MICHELANGELO, UN MADRIGALE,
L'ESPERIENZA ESTETICA E LA MISTICA NEOPLATONICA.

di Fabrizio Fittipaldi.


Le cose che occhio non vide,
e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell’uomo, sono quelle che Dio ha preparato per coloro che lo amano.
San Paolo, Lettera ai Romani.

Lo scopo di questo breve commento è di portare l’attenzione sulla dimensione mistica e devozionale che pervade l’opera e la personalità di Michelangelo e che rappresenta il fulcro di tutta la sua arte. Sempre più spesso l’approccio alle grandi personalità creative di ogni campo (dell’arte, della filosofia, della scienza) è pregiudizialmente determinato a ignorare, come aspetti secondari e quasi folkloristici la vita interiore e le realizzazioni spirituali che sono in realtà l’unico soggetto di ogni opera veramente creativa.

La composizione di questo madrigale risale a un periodo compreso tra il 1541 e il 1544, quando il grande artista e genio del Rinascimento era prossimo ai suoi settanta anni di età.

Per fido esemplo alla mia vocazione
Nel parto mi fu data la bellezza,
Che d’ambo l’arti m’è lucerna e specchio.
S’altro si pensa è falsa opinione.
Questo sol l’occhio porta a quella altezza,
Ch’a pinger e scolpir qui m’apparecchio.

Se giudizii temerarii e sciocchi
Al senso tiran la beltà, che muove
E porta al cielo ogni intelletto sano,
Dal mortale al divino non vanno gli occhi
Infermi, e fermi sempre pur là, dove
Ascender senza grazia è pensier vano.

La “bellezza” di cui ci parla Michelangelo non è mortale (“Amor, la tua beltà non è mortale”: così scriveva una decina d’anni prima) e neanche indica il talento o la capacità di osservare attentamente e registrare le proporzioni e le armonie delle cose del mondo. Piuttosto rimanda a una luce interiore che è “esemplo”, guida, faro alla sua vocazione artistica. È espressione della multiforme vitalità dell’anima; una seconda e superiore vista; un senso spirituale. È innata e non frutto di studi: una sensibilità per il trascendente che corrisponde a purezza ed elevazione, morale e spirituale.

Questa luce interiore è sorgente dell’ispirazione e strumento per la riflessione, che non sorgono dall’esperienza mondana o dall’osservazione delle “cose mortali”. È solo questa luce che infonde all’occhio un potere divino e che permette all’artista di trascendere la bellezza effimera e sensoriale e di contemplare realtà superiori. E l’artista si fa, attraverso la sua opera, mediatore tra la dimensione trascendente e quella materiale.

In questo passaggio il poeta Michelangelo sembra voler riprendere alcune terzine dantesche:

Nel ciel che più della Sua luce prende
Fu’io, e vidi cose che ridire
Né sa né può chi di là su discende;
[…]
Veramente quant’io del regno santo
Nella mia mente potei far tesoro,
sarà ora matera del mio canto.(1)

È forte il contrasto tra l’“intelletto sano” di dantesca memoria e i “giudizii temerarii e sciocchi” di chi, privo di ogni capacità di discernimento, riduce la vertiginosa esperienza estetica all’angusta relazione, psicofisica e materialista, dei sensi con i loro oggetti corrispondenti (la vista con le forme e i colori, il tatto con le tangibilità, l’udito con i suoni…). L’"intelletto sano", purificato da una condotta di vita morale e virtuosa, e in armonia con le leggi universali che governano il cosmo, è degno e atto a essere ispirato e trasportato, dalla bellezza, nell’esperienza mistica ed estetica. Il dialogo riportato dal pittore portoghese Francisco de Hollanda testimonia questo pensiero di Michelangelo:

"Non basta ad un pittore per imitare in parte la venerabile immagine del Signor Nostro, essere un grande maestro, ma deve tener buona vita e, se possibile, essere santo, acciocché il suo intelletto sia ispirato dallo Spirito Santo… Perché molte volte le immagini male dipinte distraggono e fanno perdere la devozione, almeno a quelli che ne hanno poca; e al contrario quelle che sono divinamente dipinte anche ai poco devoti e pronti a ciò, provocano e traggono le lacrime".

Anche secondo le teorie del frate domenicano Girolamo Savonarola, che influenzò profondamente la vita di Michelangelo, esiste una strettissima corrispondenza tra il livello di coscienza sviluppato dall’artista e la capacità dell’opera sua di ispirare o no valori trascendenti, nella prospettiva di un’arte che sia al servizio della fede e della spiritualità.

La teoria di Michelangelo sulla scultura ripropone il medesimo principio, quando ci parla di un “concetto” che è già circoscritto nel blocco marmoreo, ma imprigionato nel “soverchio” della pietra. La figura è intrappolata nel marmo, così come l’anima nella prigione del corpo e della mentalità egoica; la scultura, come la vita, è un percorso di purificazione e di liberazione dai soffocanti condizionamenti della materia. È lo stesso artista che a qualche anno di distanza, rivolgendosi al Signore scrive in un sonetto:

Tu desti al tempo ancor quest’alma viva
E ‘n questa spoglia ancor fragil’ e stanca
L’incarcerasti e con fiero destino.

Michelangelo - Prigione detto lo Schiavo che si desta (Firenze, Galleria dell'Accademia, 1520-32).

In una composizione successiva mette l’accento sulla potenza e pericolosità dei condizionamenti psichici e in particolare di quel deviato sentimento di amore rappresentato dall’attaccamento alla falsa immagine di se stessi (l’amor proprio):

Manca la speme, e pur cresce il desio Che,
da Te, sia dal proprio amor disciolto.


Quando, a proposito della poetica di Michelangelo, si parla dell’immagine interiore, non ci si riferisce tanto alla teoria della figura contenuta nella pietra, ma piuttosto all’“immagine del cor” che l’artista, purificato da una vita regolata e virtuosa, realizza e custodisce nell’anima sua e la cui natura e bellezza trascendono tutto ciò che si può trovare nel mondo visibile. L’opera stessa, anche se compiuta e definitiva, non può che essere un debole riflesso di quella divina idea ed è per questo che Michelangelo, come ci spiega il suo discepolo Ascanio Condivi, “poco si sia contentato delle sue cose, e che sempre l’abbia abbassate; non parendogli che la mano a quella idea sia arrivata, ch’egli dentro si formava”. È proprio questa eterna tensione tra spirito e materia che trova la più eccelsa espressione nell’insuperabile incompiutezza che caratterizza le sue opere scultoree più mature.
Michelangelo - Pietà Rondanini (Milano, Castello Sforzesco 1552-64).

Ammorbato dagli errori e dal peccato e coperto dalla materia, tanto da essere diventato cieco e insensibile alla propria intima natura spirituale, l’individuo ha ormai sviluppato un’alterazione della propria struttura psichica -originalmente orientata alla contemplazione del divino- e non ha più accesso alla dimensione spirituale. È follia pensare di raggiungerla col molto osservare o col molto studiare: solo Dio, per la Sua inconcepibile misericordia, concede al Suo devoto la visione e l’esperienza della Realtà suprema, così come hanno testimoniato mistici di tutti i tempi e di tutte le religioni.

È in questo regno trascendente che l’arte dimora, rivelando così la sua natura assolutamente spirituale; e “dal ciel seco / Ciascun la porta”, canterà il poeta Michelangelo.

Arte e spiritualità!

Arte è spiritualità!

Ogni creatività che sia ignara di questa ontologica relazione non potrà che essere una creatività “in-ferma”, non stabilita nella Realtà e nella consapevolezza di sé. E “infermi” sono gli occhi (lucerne dell’anima) di chi, invano, tenta l’assalto al divino, fissando il proprio sguardo, tutto umano, verso l’orizzonte trascendente.

(1) Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, versi 4-6 e 10-12.


Riferimenti audio e bibliografici:

Anthony Blunt, Artistic Theory in Italy 1450-1600, London, 1940.
Marco Ferrini, Arte come Yoga, Vicenza (Auditorium del Conservatorio di Musica), 21/09/2002.
Marco Ferrini, Il Viaggio di Dante e la Bhagavad-gita. Paradiso. Pinarella di Cervia - Ravenna, 04/2007.

MUSICA: ESPRESSIONE DELL'ARMONIA DIVINA.
di Fabio Pianigiani.

"O Figlio di Kunti, Io sono la fluidità nelle acque; sono la luce nel sole e nella luna; sono l'Aum (pranava) nei Veda; il suono nell'etere e la virilità negli uomini". (B.G.VII-8)

Che cosa è il suono? Quale è la differenza tra udire e ascoltare?
Quali sono i presupposti neurofisiologici che ci permettono di ascoltare la musica? Quali sono le differenze profonde tra la nostra musica occidentale e quella che si rifà alla cultura Vedica? Questa è solo una piccola parte delle domande che rivolgo ai miei studenti. Certamente non mi aspetto da loro delle risposte ma esse d’altronde hanno solo lo scopo di individuare un percorso da fare insieme, ma ripeto che questo percorso va collegato con qualcosa di profondo e trascendente, altrimenti non solo non si troveranno risposte esaurienti ma rimarranno ombrature che non permetteranno di capire il vero significato di "vibrazione sonora". Questo capire è quello che si prefigge il CSB con questa nuova ricerca di studio, parallela e complementare alle pubblicazioni, pur di altissimo livello, che hanno cambiato la vita di centinaia di persone. Nel corso dei secoli In occidente abbiamo sviluppato una notevole conoscenza tecnico-scientifica ed antropologica per quanto riguarda il suono (notazione, fisica, tecnica strumentale etc); mentre da un altro lato si è sviluppata la cosidetta "musica d’uso" (fortemente collegata alla società dei consumi) che ha cambiato in maniera fondamentale la nostra fruizione della stessa. Per "musica d’uso" intendo il 90% della musica che ascoltiamo, attraverso i vari supporti (cd, dvd, mp3) e i media (televisione, radio, cinema). Più in generale: il nostro ascolto è diventato disattento e superficiale perché, ormai abituati al sottofondo sonoro che ci accompagna durante tutta la giornata (dal supermercato al dentista, in macchina, per strada ma anche in casa) che non "ascoltiamo" più con attenzione ma "udiamo" soltanto cioè sentiamo senza comprendere, il suono diventa per noi un magma di vibrazioni sonore mischiate, indistinte, disarticolate. Gli effetti sono devastanti perché, quando perdiamo la capacità di "ascoltare", perdiamo il contatto con una delle parti più profonde del nostro inconscio per cui l’inquinamento acustico (pericoloso come ogni altro inquinamento) diviene un’ulteriore causa di nevrosi e infelicità. Ma perché siamo arrivati a questo punto? Che cosa è successo? Oltre all’avvento dei media, il problema ha preso corpo quando la civiltà occidentale ha voluto imprigionare il suono in aride formule matematiche o peggio ancora di mero godimento sensoriale scollegandolo dalla sua fonte originale che è il Signore Supremo. Ho iniziato questo breve saggio con uno sloka, tratto della Bhagavad Gita, dove Krishna dice:"…Io sono l'Aum (pranava) nei Veda e il suono nell'etere…". Quando leggo questo sloka nelle mie lezioni abitualmente molti studenti obiettano che questa visione non fa parte della nostra cultura e qui sorge subito un primo grande problema: la scarsa cultura musicologia da un punto di vista storico, teologico e filosofico che superi parte la visione eurocentrica occidentale. La nostra visione di questo mondo è legata a modelli culturali che, a partire dal 1500, si sono distaccati dalla concezione e studio dell’interdipendenza di fenomeni materiali e trascendenti, fisici e metafisici, iniziando un analisi della natura in chiave meccanicistica, cioè una descrizione di tutto quello che ci circonda partendo da una base matematico-materialistica, limitando la ricerca solo nei campi in cui i corpi avessero proprietà misurabili; altre proprietà quali il colore, il suono, il sapore, l’odore, in quanto considerate proiezioni mentali soggettive venissero escluse dal campo della scienza. Oggi sappiamo che anche questi valori sono soggetti a valutazioni scientifiche ma tant’è quello fu uno dei grandi limiti del Rinascimento. La musica in occidente fu pesantemente condizionata da questa concezione, sia dal punto di vista tecnico che da quello filosofico,ma dalla fine dell’800 si sono sviluppate in Europa e negli Stati Uniti d’America scuole di pensiero che hanno iniziato ad indagare l’aspetto transculturale della musica. Cosa accomuna la musica occidentale (classica, rock, folk, jazz etc.) ai cori di Tuva (Mongolia) o all’arpista Bretone Alan Stivell, i ritmi delle percussioni Africane alle invocazioni dei monaci Tibetani?
Per i puristi probabilmente niente; molto invece per chi è conscio di vivere in un mondo che si avvia sempre più ad essere "Villaggio Globale", dove la comunicazione sempre più ampia e veloce e le numerose migrazioni tendono a far sbiadire i confini tra i popoli. Qui si rende necessaria una scelta di grande significato tra una consapevole contaminazione o una progettualità di incontro fra linguaggi diversi senza pero’ amputare,nei limiti del possibile,l’approccio con le diverse culture musicali. Le generazioni future vivranno in una società multietnica, con grandi stimoli ma anche con un grande pericolo: la paura del diverso. Purtroppo la storia, con le sue tragedie, cicliche al punto di divenir quasi monotone, ci ha insegnato a cosa portano l’ignoranza e la diffidenza verso altre culture. Qui le istituzioni culturali ed accademiche hanno una grande responsabilità, quella di educare i giovani alla convivenza, guidandoli lungo un percorso culturale che permetta loro di confrontarsi con esperienze lontane, senza far loro perdere l’identità di appartenenza (eccesso opposto), per capire e meglio convivere in questa nuova società interculturale. Come scrive Fritjof Capra (Il punto di Svolta), "L’universo non può piu’ essere visto come un sistema meccanico composto da blocchi elementari ma come una complessa rete di relazioni interdipendenti". Di fatto noi tutti viviamo immersi nel suono,sia nella forma caotica del rumore che in quella organizzata della parola e della musica. I nostri orecchi entrano in attività ancor prima di nascere; il chè significa che, prima di percepire il mondo con gli altri sensi,noi udiamo, da prima di venire alla luce e per tutta la nostra vita; e anche quando, nell’ora della nostra dipartita, tutti i sensi ci abbandonano uno ad uno,l’udito è l’ultimo. E’ quasi impossibile interrompere questa funzione cioè tappare le orecchie. Poiché dunque il suono é parte integrante e basilare del comunicare, questo corso si propone principalmente a incoraggiare e sensibilizzare a divenire "ascoltatori coscienti". Ecco intanto alcuni punti fermi della storia musicale, così come verrà da noi impostata:
1) Tutte le scritture rivelate, dal Vangelo di Giovanni che recita” In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.”, al Corano, al Talmud Ebraico che enunciano la "Divinità del Verbo", indicano che quando Dio rivela Se stesso agli esseri umani, Egli viene udito, può apparire anche come una luce, ma per essere compreso la Sua voce deve venir udita: "Dio Parlo…" è un enunciato che troviamo in tutte le Sacre Scritture, nelle quali le nostre nostri orecchie sono "le porte" per la Sua comprensione.
2) Sono stati i Greci ad aver immediatamente rilevato l’essenza dell’arte dei suoni con Pitagora , cui dobbiamo l’attuale teoria della divisione dell’ottava. Con Platone, Socrate ed Aristotele si insedia stabilmente una riflessione filosofica sugli evidenti rapporti fra musica ,coscienza e matematica. Pitagora, padre insieme ad Euclide della geometria e della matematica, fu anche il primo intellettuale occidentale a mettere in chiaro le relazioni tra gli intervalli musicali. La chiave della scoperta fatta da Pitagora fu uno strumento molto semplice chiamato "monocorde", costituito da una sola corda tesa su di una struttura di legno, usando il monocorde, Pitagora fu in grado di scoprire che la divisione musicale creata dall’uomo dava origine a determinati rapporti matematici (intervalli musicali). Si dice abbia detto: "Studiate il monocorde e scoprirete i segreti dell’universo". Pitagora infatti credeva che l’universo fosse un immenso monocorde, uno strumento con una sola corda tirata tra il cielo e la terra,un’estremità della corda era legata allo Spirito Assoluto, mentre l’estremità inferiore era legata alla materia assoluta. Egli pensava che i movimenti di ogni corpo celeste nell’universo producesse un suono e che questi suoni potessero venir percepiti solo da chi si era preparato con la prorpia coscienza ad ascoltarli.
Pitagora nell’isola di Crotone dove insegnava insegnava a discepoli tre livelli di iniziazione,al primo livello quello degli “acustici”, insegnava a riconoscere e mettere in pratica le varie proporzioni musicali (scale e intervalli), spiegate utilizzando il monocorde. Col secondo livello, quello dei "matematici", approfondiva il discorso con i numeri, ma anche con la purificazione individuale e l’autocontrollo mentale. Prima di accedere al livello successivo il discepolo doveva dimostrarsi pienamente consapevole, nel corpo e nello spirito, delle responsabilità legate alle sacre informazione che stava per ricevere; poiché il terzo e più alto livello di iniziazione, quello degli "eletti", portava all’apprendimento di procedimenti esoterici di trasformazione fisica e di guarigione per mezzo del suono e della musica. Quindi la musicoterapia di oggi non si rifà alla New Age ma ha origini ben più antiche.
3) La riflessione medioevale è di grandissima importanza perchè sviluppa ampiamente il rapporto fra musica e metafisica, specialmente nell’ambito della pratica teologico-musicale Cristiana. Un esempio fulgido della definizione di musica lo possiamo trovare nel trattato "De Musica" di S. Agostino dove l’autore scrive: "L’anima in fondo è la vera causa della sensazione il corpo è la concausa indispensabile. Senza l’anima vi sarebbe passione,ma non sensazione o conoscenza,in quanto il senso non ha la capacità di riconoscere ciò che si produce in esso". Spetta all’anima sottoporre l’atto del sentire, doveroso compito nei confronti del corpo e continua." L’attività sensibile è,dunque, un momento della vita spirituale: tentatrice e complice della concupiscenza, in pari tempo,è l’annunziatrice di un ordine invisibile e reale governante il mondo.”, e conclude: "L’arte musicale, come l’arte e il bello in generale, contiene l’ordine e ad esso conduce”. L’ordine invisibile e reale è stato scientificamente indagato nel secolo scorso,col nome di ordine implicato,dal grande fisico David Bohn. Fra i suoni sacri il canto Gregoriano occupa certamente un posto di prestigio. E’ uno dei più efficaci per condurci al sacro. Di solito lo si ricollega a San Gregorio,che contribuì alla sua diffusione,ma le sue origini sono certamente più antiche e quando il canto Gregoriano raggiunge un livello ottimale possiamo di esecuzione possiamo in verità dire che "prepara l’anima ad aprirsi a Dio" (A. Tomatis "Ascoltare l’universo").
4) Un vero punto di svolta si ha con la nascita dell’estetica musicale. La teoria di Marsilio Ficino figura tra le più importanti estetiche musicali sorte, nel secolo XV, dalle correnti neoplatoniche dell’Umanesimo. Tale teoria, fondata essenzialmente sull’affermazione del carattere incorporeo della bellezza musicale, distingue da un lato le qualità gradevoli al corpo, non capaci di dar luogo ad emozioni estetiche. Esse sono gli odori, i sapori, le sensazioni termiche; e dall’altro le sensazioni che provengono da fonti incorporee e danno origine ad emozioni spirituali, suscettibili di diventare estetiche. Di questo genere sono i colori, le figure, i suoni, le voci. Cartesio occupa un posto tutt’altro che irrilevante in campo musicale. Nel suo scritto "Abregè de la Musique" (1618) rifiuta ogni speculazione di carattere teologico medioevale e si limita a considerare le proporzioni tra le vibrazioni sonore: "La musica per lui è appunto la contemplazione delle proporzioni semplici dei suoni; e il piacere che noi ritragghiamo dalla fruizione della musica consiste appunto in questa contemplazione" (La Musica-Utet-). Il culmine dell’Estetica musicale razionalistica fu però raggiunto dal pensiero di Leibniz. Egli "riconduceva il fenomeno dell’arte musicale all’ordinamento dei fenomeni numerici della consonanza e della dissonanza dai quali deriva ogni piacere presente all’ascolto musicale" (La Musica-Utet-). Con Rameau (XVIII) inizia l’estetica sensistica o analisi delle sensazioni.In lui vediamo la prima decisa reazione contro il razionalismo cartesiano e leibniziano in quanto non vede più nella musica una costruzione razionalmente proporzionata bensì la riflessione e lo sfruttamento delle leggi fisiche,naturali ,acustiche delle sensazioni sonore. Con Vico e Kant abbiamo una reazione all’estetica musicale sensistica. Kant asseriva: "La musica è un bel gioco di sensazioni per l’udito". Con ciò Kant non intende ridurre la musica a pura gratuità,ma è piuttosto convinto che il significato della musica non sia trasferibile al di fuori dell’ambito musicale, senza il rischio di cadere in quelle “associazioni meccaniche di immaginazioni che lui appunto condanna. Dal romanticismo all’espressionismo si rimanifesta la necessità di rintracciare il significato della musica anche al di là del suo aspetto matematizzante. Schopenhauer(il primo a risentire gli influssi della cultura Vedica) sosteneva la superiorità della musica sulle altre arti,che rappresenterebbero la realtà in maniera mediata,cioè attraverso lo schermo delle idee, oggettivazioni della volontà, laddove la musica rappresenta invece direttamente la volontà. Getta così una base elementare della riflessione dedicata alla dimensione strutturale della musica: i due problemi del bello musicale e del suo significato,metafisico o non, quale che sia. Nel novecento l’estetica musicale imbocca due diverse direzioni; la prima è quella più rigorosamente fisica, per cui ogni fenomeno musicale è sempre fondamentalmente un fenomeno fisiologico(analizzabile). La seconda mira invece a porre la centro dell’indagine il fenomeno psicologico dell’ascolto, pur riconducendo a termini scientificamente misurabili le sue quattro componenti fondamentali: la percezione dell’altezza,dell’intensità,del tempo e del timbro dei suoni. Con Nietzsche abbiamo la prima reazione al positivismo e all’estetica dell’espressionismo. Nel suo celebre scritto "La nascita della tragedia" (1872) considera la musica essenzialmente un arte dionisiaca, ironica e orgiastica, destinata a sconvolgere l’ordine sociale costituito e cristallizato. Dal '900 ad oggi si sono sviluppate nello studio dell’estetica musicale han preso diverse scuole come quelle del Formalismo, dell’Empirismo, del Naturalismo e anche Sociologica. Tutti questi punti, ognuno di notevole interesse, perché ci aiuterano a capire la crisi della musica tonale e seriale e l’apparentemente movimento centrifugo che fa della musica contemporanea occidentale (ma possiamo dire che anche nell’India di oggi la situazione non è molto differente) una babele di linguaggi musicali. Trattare la scienza e la mistica della musica non può essere semplice e superficiale ma impone uno studio serio delle suo varie componenti. Non ci dimentichiamo che l’arte dei suoni è un linguaggio con un suo alfabeto, una sua sintassi e i suoi procedimenti di analisi etc, che vanno conosciuti almeno nei suoi caratteri principali per poterne parlare e divenire così minimo "ascoltatori coscienti". Per correttezza e per non creare confusione o aspettative non calibrate chiarisco in premessa che oggi quasi generalmente si confonde la musica con il mestiere della musica, e la passione e il piacere dei suoni con una ricerca di se stessi attraverso l’elemento sonoro, con la falsa illusione che la società dà della musica come un qualcosa di suo e che propone come un elemento di puro consumo. Fortunatamente il Dipartimento Accademico del CSB è del tutto defilato da queste tendenze. Che senso avrebbe infatti produrre altri cd ‘s o videos che aggiungano confusione e di conseguenza dolore a quello che già oggi circola nella nostra società? Noi intendiamo offrire un alternativa positiva a tutti quei musicisti ed artisti che soffrono una condizione "stereotipa" di genio e sregolatezza (amata dalla letteratura pseudo romantica e dalle case discografiche che incassano milioni di royialties anche dopo che l’artista, consumato da droghe chimiche e sociali, muore spesso nel culmine della sua giovinezza). Tutte ciò non rimarrà un esercizio intellettuale, tipico delle istituzioni accademiche classiche ma, come detto, con il vostro serio aiuto si trasformerà in proposte di pratica quotidiana per artisti in soluzioni da applicare alla vita di tutti i giorni di artisti, aspiranti artisti e per una nuova e più elevata categoria di spettatori. Concludo questo mia breve introduzione al progetto Musica con le parole che il Prof. Ferrini (presidente e fondatore del CSB) mi ha detto qualche giorno fa: "Quella della realizzazione spirituale è la più ardua tra le imprese, ma anche la più remunerata; non c'è prezzo, materiale o spirituale, che non valga la pena di pagare per avvicinarsi a Dio...Che il glorioso Signore sempre ci protegga e ci rinnovi la fede e la gioia di vivere la pura Bhakti per Lui".
LA MUSICALITA' DELL'ACQUA.
di Fabio Pianigiani.

…utile et umile et pretiosa et casta (Cantico delle Creature San Francesco)


I poteri spirituali e terapeutici dei suoni d'acqua, dal mugghiare dell'oceano al mormorio di un ruscello, sono noti ai popoli di tutte le culture. Nel maquam rast (musico terapia Islamica) l'acqua ha un ruolo centrale e viene "suonata" dando cosi' il ritmo alla musica. Il suonatore usa due ciotole per versare l'acqua in un grosso recipiente. Mentre versa da una ciotola riempie l'altra, con un movimento circolare continuo, in modo che il flusso sia costante. Questa azione crea la base ritmica musicale ed é sempre presente anche quando non é immediatamente percepibile. Come vediamo il campo d'azione é interessante, nuovo e di grande attualità, unendo cioé l'aspetto culturale-artistico a quello della sensibilizzazione per la difesa dell'elemento "acqua", abbinandolo alla vibrazione sonora che produce quando entra in contatto con diversi elementi ad esempio: aria, etere, terra etc; definamo cosi' una vera e propria "Musicalità dell'Acqua". L'acqua, principale nutrimento ed essenza di tutto ciò che in natura è vivo, è per la spiritualità mistica una fonte di energia divina; nella psicanalisi viene considerata il simbolo dell'inconscio primordiale, ancestrale. Molte sono le simbologie e i significati attribuiti all'acqua nella cultura, nella religione e nelle rappresentazioni artistiche di ogni popolo. Ma che relazione ha l'acqua con la musica? Nel linguaggio comune lo scorrere, il fluire appartengono all'acqua come alla musica, entrambe simbolo e manifestazione del procedere del tempo. Nelle sue più diverse forme (fiume, mare, pioggia, neve, ghiaccio, nebbia...) l'acqua è, come la musica, espressione della creazione infinita che, nel suo incessante mutare, rimane sempre sé stessa. L'acqua produce musica, suoni: pensate all'infrangersi delle onde, il ticchettio della pioggia, il gorgoglio di un ruscello...Il principio della mia ricerca è fondato sull’azione terapeutica del suono, più precisamente considerato nella sua altezza, nel suo registro, timbro(armoniche), melodia ,armonia,orchestrazione,ritmo. Ma soprattutto ho cercato con l’aiuto del Dott. Cracolici (Scuola di Agopuntura Tradizionale della Città di Firenze) di associarla ad altri strumenti terapeutici, come l’agopuntura e i cinque movimenti della medicina Cinese. Altra caratteristica della composizione musicale e produzione di questo CD "ACQUA" è di unire la mia esperienza di musicista con quella di docente di Teoria e Tecniche della produzione musicale nei Media all’Università di Siena; ma principalmente la mia vita e le mie scelte artistiche sono sempre state influenzate in modo decisivo da due tendenze: una operante nella sfera tecnica musicale l’altra nel campo spirituale. I filosofi Cinesi videro nella realtà,la cui essenza ultima chiamarono Tao, un processo di flusso e mutamento continuo, dinamico. Tutti gli sviluppi in natura da quello fisico a quelli psicologici e sociali manifestano modelli ciclici; cosa meglio della musica puo’esprimere questo movimento, il susseguirsi di una linea melodica con suoni e silenzi, l’alternarsi delle tonalità che come colori in un quadro si trasformano attraverso le dinamiche, i timbri degli strumenti e le loro frequenze. La medicina Cinese conosceva le corrispondenze vibratorie note-organi, e la corrispondenza tra la dominante caratteriale dell’uomo legata ad un organo (psicotipi). Bisogna tuttavia sapere che le note della scala pentatonica (cui si riferisce la medicina Cinese) non corrispondevano a suoni determinati, come quelli che conosciamo noi usando la scala temperata,ma potevano cambiare accordatura ogni mese secondo lo zodiaco Cinese, così ho dovuto prima risolvere questo problema per trasportare correttamente i concetti della Medicina Cinese nel nostro sistema musicale (temperato ) e cosa piu’ importante nella nostra "modalità e abitudine" di ascolto. Per far questo ho ricercato tra diversi studiosi che prima di me si erano posti questo problema e una grande ispirazione l’ho trovata nel lavoro di Leon Bence(medico esperto di bioterapie) e di Max Meraux (compositore e musicologo) che si fonda sul principio in base al quale gli atomi e le molecole sono capaci di assorbire un irradiazione della stessa lunghezza d’onda di quella che possono emettere. Oggi la nostra civiltà è sempre più distratta e il messaggio dei media si basa principalmente sull’apparire e non sull’essere, sull’occhio e non sull’orecchio (vedi Tomatis), e i risultati purtroppo sono catastrofici…Prima di venire alla luce in questo mondo e per tutta la nostra vita,anche quando nell’ora della nostra dipartita,tutti i sensi ci abbandonano ad uno ad uno, l’udito è l’ultimo; questi CD’s sono solo un mio umile tentativo di riportare l’attenzione sul vero e autentico significato della musica: unire la terra al cielo.